Scoliosi negli adulti: aggiornamenti sui trattamenti e le opzioni chirurgiche

La scoliosi negli adulti: incidenza, diagnosi e trattamenti innovativi per una condizione che colpisce il 2-12% della popolazione, con sintomi e interventi chirurgici specifici.

La scoliosi negli adulti rappresenta un problema di salute significativo, con un’incidenza che varia dal 2 al 12% della popolazione. Questa condizione si distingue nettamente dalle scoliosi idiopatiche che colpiscono bambini e adolescenti. Luca Proietti, associato di Ortopedia e Traumatologia presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore e direttore della UOC di Chirurgia vertebrale della Fondazione Policlinico Gemelli IRCCS di Roma, chiarisce che le scoliosi negli adulti si manifestano generalmente a partire dai 50-60 anni e tendono a progredire nel tempo. Al contrario, le scoliosi infantili si stabilizzano al termine della crescita scheletrica. Le forme adulte possono essere di tipo “idiopatico”, originando durante l’età evolutiva e peggiorando in età adulta, oppure “degenerative”, che si sviluppano tipicamente intorno ai 50-60 anni, causando sintomi che spaziano dal mal di schiena a disturbi neurologici, come la sciatalgia, spesso associati a stenosi lombare o ernie del disco. Queste informazioni sono emerse durante il meeting scientifico “Focus on – Il trattamento della scoliosi nell’adulto”, recentemente tenutosi al Gemelli, patrocinato dalla Società Italiana di Chirurgia Vertebrale e dal Gruppo Italiano Scoliosi (SICV&GIS).

La scoliosi e le sue conseguenze

La scoliosi è definita come una deformità della colonna vertebrale che si manifesta su tre piani dello spazio. Proietti evidenzia che gli adulti affetti da scoliosi tendono a presentare uno sbilanciamento, con il tronco che si proietta in avanti, compromettendo la loro postura e mobilità. Questa condizione può portare a una grave invalidità, impedendo al paziente di mantenere una posizione eretta. Coloro che svolgono lavori pesanti, sollevando costantemente carichi, sono particolarmente a rischio. Proietti sottolinea che questo tipo di attività contribuisce alla disidratazione e alla degenerazione dei dischi intervertebrali, causando una perdita della lordosi lombare. Tale cambiamento posturale influisce anche sulle articolazioni inferiori, come anche e ginocchia, portando a alterazioni nella deambulazione.

Diagnosi e valutazione della scoliosi

Per diagnosticare la scoliosi, è sufficiente una visita specialistica accompagnata da una radiografia del rachide, eseguita in ortostatismo, che include l’intero tratto dalla testa al bacino. Proietti spiega che la gravità della scoliosi viene misurata in gradi tramite l’angolo di Cobb, che analizza la curvatura lombare e dorsale. In una colonna vertebrale sana, questo angolo è pari a zero, mentre valori superiori a 20-30 gradi possono manifestarsi con sintomi invalidanti. Lo specialista di riferimento per la scoliosi è il chirurgo vertebrale, il quale, dopo una valutazione approfondita, suggerirà il trattamento più adeguato. Nelle fasi iniziali e in assenza di gravi problematiche neurologiche, il percorso terapeutico è solitamente conservativo, prevedendo un intervento fisiatrico-fisioterapico e, se necessario, il supporto di specialisti in terapia del dolore. In generale, si sconsiglia l’uso del busto, per evitare di indebolire ulteriormente la muscolatura.

Trattamenti chirurgici e innovazioni

Nel caso di un peggioramento significativo della scoliosi, accompagnato da dolore e deficit neurologici, potrebbe essere necessario considerare l’intervento chirurgico. L’obiettivo di tale intervento è correggere la deformità, liberare le strutture neurologiche in caso di compressione e realizzare l’artrodesi, ovvero la fusione ossea dei corpi vertebrali riallineati. Nei casi più gravi, si può arrivare a bloccare l’intera colonna vertebrale dorsale e lombare fino al bacino, utilizzando viti peduncolari e barre in titanio.

Negli ultimi anni, sono emerse significative innovazioni nel campo della chirurgia. Proietti illustra che oggi è possibile affrontare le scoliosi di grado lievi-moderati attraverso interventi mini-invasivi, che prevedono piccole incisioni laterali per inserire supporti in titanio all’interno dei dischi intervertebrali, associati a stabilizzazione posteriore percutanea. La durata di tali interventi è di poche ore e i pazienti possono essere mobilizzati già il giorno successivo all’operazione. Un ulteriore progresso è rappresentato dall’utilizzo di sistemi di navigazione 3D, che riducono al minimo le complicanze legate all’inserimento delle viti peduncolari, garantendo maggiore sicurezza e precisione. Queste tecnologie moderne hanno reso gli interventi più sicuri e meno complessi, ma è fondamentale una corretta selezione e preparazione del paziente per garantire risultati ottimali.

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