Un'iniziativa che dimostra come, sotto il pelo dell'acqua, siamo tutti uguali e che l’inclusione può abbattere ogni barriera.

L’iniziativa che ha portato un gruppo di ragazzi sordi a vivere l’esperienza della subacquea (leggi qui)  non è solo un evento simbolico in vista della Giornata mondiale del sordo, ma rappresenta un esempio tangibile di come l’inclusione possa essere vissuta in modo autentico, superando non solo le barriere fisiche, ma anche quelle culturali e comunicative. Sott’acqua, dove l’udito perde ogni utilità, tutti siamo uguali. In un ambiente dove la comunicazione si affida esclusivamente ai gesti delle mani, si crea una sorta di paradosso inclusivo: le persone normoudenti e quelle sorde si trovano, finalmente, sullo stesso piano.

Questa esperienza ci pone davanti a una riflessione profonda sulle disabilità: spesso, ciò che consideriamo una limitazione non è altro che una diversa modalità di percepire il mondo. La subacquea, che obbliga tutti a rinunciare alla parola e a comunicare visivamente, diventa allora un terreno dove la diversità non solo non è un ostacolo, ma un elemento fondante dell’attività stessa. Sott’acqua, non è la disabilità uditiva a creare difficoltà, perché in quello spazio tutti si trovano a dover utilizzare un codice comune basato su segni e simboli.

È significativo, poi, il ruolo dell’iniziativa nella preparazione dello staff. Gli istruttori hanno appreso i rudimenti della Lingua dei segni italiana (Lis) per accogliere i partecipanti, dimostrando che l’inclusione non è una concessione, ma un atteggiamento di apertura verso l’altro. L’impegno formativo degli organizzatori non è stato puramente tecnico, ma una dimostrazione di rispetto e attenzione per chi vive quotidianamente la disabilità uditiva, abbattendo le barriere invisibili fatte di incomprensione e pregiudizio.

L’esperienza alla piscina Y-40 non è un caso isolato, ma parte di una tendenza più ampia che cerca di abbattere le barriere linguistiche e fisiche. Il gesto di comunicare con le mani, che accomuna il mondo sommerso e quello dei sordi, si trasforma così in un simbolo di come la società potrebbe e dovrebbe adattarsi per essere realmente inclusiva. Viviamo in un mondo dominato dalla parola e dall’udito, e troppo spesso dimentichiamo che esistono altre forme di comunicazione altrettanto efficaci, se non più profonde.

L’aspetto più interessante è che questa iniziativa non pone la sordità come un limite, ma come una differente forma di esperienza. L’acqua, da elemento che potenzialmente isola, diventa invece il mezzo attraverso il quale si realizza la comprensione universale. E proprio in questa dimensione di silenzio, dove nessuno può fare affidamento sulla voce, emerge un messaggio potente: ciò che ci rende umani è la capacità di trovare sempre un modo per comunicare, al di là dei limiti e delle differenze.

Ciò che rimane, alla fine, è una lezione di inclusione che va oltre la singola iniziativa. Sott’acqua, siamo davvero tutti uguali, ma la vera sfida è far sì che questa uguaglianza possa essere vissuta anche sulla terraferma, nella quotidianità di chi, come le persone sorde, si confronta ogni giorno con una società che non sempre è pronta ad ascoltare, anche quando non si tratta di parole.

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